Ah, quale sfrontatezza! Piombare così, in tragico ritardo, un ritardo tanto grave che nessuno l’aspettava più.
Spudorata ed insolente nell’abbigliamento sgargiante, lasciava al suo passaggio una scia indelebile e coinvolgente: con il suo arrivo il mare si era spianato: pareva ora respirare appena, anche lui colpito da tanta magnificenza. Una magnificenza da mozzare il fiato. Anche il vento, da gelido e impetuoso, si era trasformato in un refolo tiepido e discreto.
Come aveva osato!
Era atterrata repentina, nel bel mezzo della tragedia: una tragedia immane che aveva dipinto il mondo a tinte fosche, di grigio e di nero, i colori del lutto.
Lo sgomento lo si poteva leggere negli sguardi di quegli sporadici sventurati che si muovevano come automi per le strade deserte e silenziose, nascosti dietro i paludamenti di difesa improvvisati.
Era stato proprio il silenzio, calato sulla terra improvviso e inatteso, a fare più paura.
Ma a lei che cosa poteva importare? La paura? Neppure sapeva cosa fosse la paura.
Non aveva remore l’arrogante, quando decideva…decideva, decideva e basta. Così era alla fine arrivata, seminando stupore come fosse stata la prima volta, come se non si fosse fatta mai vedere prima di allora.
Certo, il risentimento era dilagato, perché non era proprio quello il momento. Avrebbe distratto dalla sofferenza quando era tempo di sofferenza, avrebbe distolto dall’annientamento quando era tempo di essere annientati.
Nessuno la voleva neppure considerare, la osservavano in cagnesco, digrignando i denti.
Ma i suoi colori e il suo profumo si diffondevano come un fiume in piena, trascinando con sé tutto ciò che incontrava.
Alla fine fu lei ad avere la meglio. Ancora lei, come ogni altra volta! Maledetta, maledetta primavera.