Proprio una stamberga quella in cui viveva, una stamberga con la esse maiuscola, dove tutto era cadente. Ma a lei piaceva così; non era forse lei stessa ridotta al lumicino? Si era rimpicciolita anno dopo anno e oramai era talmente leggera che avrebbe potuto anche volare. L’unica cosa che aveva continuato a crescere era il suo naso: era diventato così grande da essere il suo orgoglio: “Nel naso non sono seconda a nessuno” pensava osservando la sua immagine riflessa nel vetro della finestra. Le sue mani nodose, con dita secche come bastoncini, si muovevano indefesse. Doveva finire! Il tempo non lasciava respiro. Di lì a poco sarebbe arrivato il gran giorno, anzi, ad essere precisi la grande notte, quella attesa di anno in anno da tempo immemorabile. Ago, filo, un fiocco rosa e turchino, ora le caramelle, il carbone, qualche cioccolatino. Ecco fatto! Un’altra calza era pronta; sarebbe stata riposta nella grande cesta di vimini assieme alle altre migliaia, in attesa della consegna. Quando scese la notte il lavoro era finalmente concluso. Mise allora la gerla sulle spalle, si strinse un fazzoletto di lana sul capo, afferrò la scopa…e via, verso l’alto! Il naso fendeva l’aria tagliente e il vento freddo penetrava dappertutto, sotto il vestito svolazzante, ma lei non si curava, mentre alle sue orecchie arrivavano le voci gioiose dei bimbi che, con gli sguardi rivolti all’insù, tutti quanti, in coro, dicevano: “Grazie Befana”.